Di.Co non lo dico!

Parlare di movimento GLTB oggi necessita di una specificazione. Non è controverso infatti che esistono, nel suo ambito, importanti istanze e stratificazioni che, se non proprio in contrapposizione, sono quantomeno in posizione dialettica.
Una parte del movimento è essenzialmente istituzionale; questa è la parte principe che interloquisce con la politica ufficiale della quale ha purtroppo assunto i caratteri e le strutture. Un’altra parte si riconosce in momenti di appartenenza, fortemente segnati, che li vede coesi nel faticoso tentativo di rimediare alle mancanze strutturali. E’ il caso di Facciamobreccia, neo-movimento di base spontaneo e orizzontale, fortemente e seriamente impegnato nella individuazione dei fronti più ostili e violenti che si oppongono alle istanze di autodeterminazione delle varie soggettività sociali e politiche (donne, LTG, sex workers, ecc.) ai quali si oppone con mirabile determinazione, costanza e sincero spirito critico nonostante le notevoli difficoltà.

Non sembra innegabile infatti che la visibilità delle persone LTG, e la conseguente richiesta di diventare soggetti politici, se da un lato è il frutto dell’impegno dell’intero movimento dall’altro ha creato situazioni paradossali. Assistiamo pressoché inermi, ad esempio, al considerevole aumento delle violenze, anche fisiche, contro le persone TLG perpetrate da gruppuscoli politicamente orientati; così come subiamo quotidianamente attacchi politici ed ideologici ad opera dello schieramento “conservatore”, trasversale e maggioritario, che, “legittimato” ed imbeccato dalla ideologia degli statisti vaticani, inspiegabilmente amplificata dalla monovoce propaganda mediatica, può a tutt’oggi permettersi impunemente, insieme agli ecclesiastici, di vilipendere fino al dileggio le persone e le istanze GLT, bloccandole anche, istigando e legittimando così la violenza misogina e transomofoba. In ciò non si può non intravedere un’impreparazione da parte del movimento GLBTQ che risponde in maniera disorganica e, ad oggi, inefficace.
Tale dialettica è stata significata abbastanza bene in occasione del primo incontro degli Stati Generali GLBTQ tenutisi a Roma lo scorso 30 settembre 2006.
Questa considerazione di fondo non può non indurre urgentemente ad una riflessione sul perché questo sia accaduto e non si sia potuto quantomeno contenere; oltre, evidentemente, a porre la questione di come rimediare.
Il momento politico generale non è dei più rosei; se poi lo rapportiamo all’ambito rivendicativo delle istanze LGT è quantomeno sconfortante. Il nostro sistema civile e politico, anche e specie nell’ala più progressista, ha purtroppo delle profonde incongruenze strutturali e manca totalmente di rappresentazioni, di linguaggi e di pratiche che, significando la nostra vita materiale, fronteggino validamente le opposizioni conservatrici e reazionarie. In altre parole esiste un paese formale che si discosta sensibilmente dal quello reale relegando, fino a soffocarle, le nostre vite e le nostre coscienze in una cornice di ipocrisia di sistema funzionale al mantenimento dello status quo. Ipocrisia? Ignavia? Codardia? Ma cosa ha fatto il movimento GLBT per acquisire quegli avanzamenti culturali utili alla dialettica politica? Qual è stato il risultato della vicinanza tra il movimento e la politica istituzionale, strumento delle nostre rivendicazioni normative?
In siffatto contesto e momento politico il movimento GLTB avanza al legislatore una richiesta precisa: il riconoscimento delle convivenze (more uxorio) omosessuali sul modello familiare classico. La richiesta, più volte reiterata, è stata altrettante volte respinta o accolta con molte riserve fino a ridimensionarla,  rendendola inaccettabile. E, ad oggi, ci sono poche speranze che si possa acquisire anche il minimo. Basti porre mente al fatto che la norma, che si porrebbe come antidiscriminatoria ed innovativa, parte dalle attenzioni alle istanze del boia
Ma di questa richiesta il movimento GLBT ha coscienza? L’ha analizzata a fondo?
A noi pare di tutta evidenza che sia stata semplicemente un’estemporaneità, ispirata da conquiste transalpine, lasciata al caso e di cui si fa promotore e custode solo una parte del movimento, quella istituzionale che, tra le altre cose, non sembra tenere in debito conto le istanze ed i percorsi intrapresi da altri movimenti che di esso rappresentano la genesi e che da sempre sono posizionati su altri versanti.
Noi in A/matrix, che annovera diverse rappresentazioni movimentiste, anche LTZ, abbiamo voluto aprire un confronto franco e plurale in tema di “unioni civili” (omo ed eterosessuali) e, dopo un’attenta analisi e discussione, siamo giunte alla conclusione che l’istituto matrimonialfamiliare va abolito per destrutturare quella parte di potere sociale e politico che soffoca tante soggettività: le donne in primis, insieme ad altri segmenti della società civile che ad esso non possono accedere, come giustappunto le persone LGT, o non vogliono accedere come le cosiddette famiglie di fatto.
In una prospettiva storica l’istituto familiare, sin dalla sua genesi risalente all’antica Roma, non ha rappresentato altro che un centro di potere strutturale (specie patrimoniale) del patriarcato (familia=azienda, res paterfamilias). Il divortium, nella Roma imperiale e tardo imperiale, ha subito una brusca frenata de imperio quando questo ha iniziato a significare momento di emancipazione femminile e di “dissoluzione dei boni mores”; ossia quando ha iniziato a sfuggire al controllo sociale e politico.
Tutto questo è significativo e foriero di diverse considerazioni se rapportato al momento attuale.
Dall’introduzione dello ius canonicum in poi, il matrimonio, e molta della struttura familiare, è passata direttamente sotto l’egida della Chiesa misogina che ne ha segnato e sacralizzato, modellandoli anche, i confini, che possiamo sintetizzare nella:
– eterosessualità
– prevalenza del ruolo maschile
– sacralità e conseguente indissolubilità del vincolo
– procreatio ed educatio “legitimae” prolis
basi essenziali, come anche abbiamo concluso lo scorso ottobre nel convegno “Violenza  e Patriarcato” tenuto a Trieste e organizzato dalla rete delle donne di EL-FEM-SE, per il tipo di società patriarcale, nazionalista, imperialista, razzista e discriminatoria che noi osteggiamo fortemente.
In Italia, nonostante la ri-proposizione del matrimonio civile, e nonostante l’introduzione del nuovo diritto di famiglia e dell’istituto dello scioglimento del vincolo matrimoniale (cd divorzio), acquisiti anche grazie ai validi colpi del movimento femminista, l’istituto è rimasto comunque un nemico giurato della libertà delle donne e dei soggetti deboli che se da un lato vedono la famiglia come un’oasi dall’altro se la ritrovano come incubo persecutorio nel corso dell’intera vita. La parificazione, almeno formale ma ancora “necessariamente” incompleta, dei coniugi, così come l’introduzione del cosiddetto divorzio hanno “dissacrato” l’istituto consentendo un allentamento della pressione sociale di istigazione al matrimonio e creando contestualmente situazioni di emancipazione femminile, anche in prospettiva, nella vita delle donne specialmente, che sono spia di come questo istituto sia un asfissiante e castrante strumento di potere ai danni di molte soggettività e di come esso non si presti ad altri usi se non a quelli oppressivi e di potere monocratico, maschile nella fattispecie. Sono significativi, in questo senso, tanto il calo dei matrimoni che si registra in seguito al cambiamento dell’istituto quanto le statistiche relative alla violenza domestica che fa della famiglia il luogo maggiormente violento ed insicuro per le donne ed i soggetti deboli in genere.
Dal ’75 (riforma del diritto di famiglia) dell’istituto non si è più parlato. Il dibattito si è riaperto relativamente di recente e sulla base delle istanze LG, rivelando quello che noi abbiamo sempre sostenuto: il matrimonio, matrice del nucleo famigliare, altro non è che un istituto creatore di una macrocellula sociale facile preda di strumentalizzazione da parte del potere. Non ci sembra rilevante che si tratti di famiglia etero o omosessuale; quello che viene in primo piano è che il nucleo famigliare diventa esclusivo, escludente, valido strumento di controllo e modello degli stili di vita e sociali. Basti per questo porre mente al dibattito politico che ne sta conseguendo che se da un lato è sterile dall’altro rivela come l’istituto, nelle intenzioni e nella pratica, si basi essenzialmente su:
necessità circostanziale (se non ti sposi che fai?)
concetto di appartenenza (la mia famiglia)
eterosessualità e sessualità riproduttiva (sesso-transomofobia)
ruolo di genere (misoginia)
estromissione e forte discriminazione di chi non vi può/vuole accede (welfare familista)
comportando anche una preoccupante destabilizzazione politico-strutturale ravvisabile nella contraffazione e nel sovvertimento del dettato costituzionale; l’istituto familiare infatti è annoverato nel Titolo II “Rapporti etico-sociali” della Carta all’art. 29
“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.
ma surclassa, almeno nei deliranti interventi politici di entrambi gli schieramenti, gli articoli 2 e 3 che sanciscono e garantiscono l’eguaglianza formale e sostanziale dei cittadini, uti singuli et uti societas, cardine primigenio e maestro del nostro patto di convivenza, e quindi non a caso precedenti, anche nelle titolazioni. Ne consegue anche un discutibile e strumentale concetto di “natura” e di “diritto naturale” che da “spontaneo” (come tramanda l’ermeneutica costituzionale più accreditata) diventa invece “modello imposto” frutto, questo, di un malinteso concetto di “natura” e di “diritto naturale” di matrice cattolica che ha come fondamento o pilastro concezioni teologiche. Su queste basi si afferma impudentemente, nella sfera sesso-affettiva, l’imposizione di un unico modello relazionale giuridicamente rilevante che deve informare la società tutta in un’epoca in cui il pluralismo è uno dei pilastri delle moderne convivenze civili e politiche. Fa specie l’assordante silenzio di tutte le componenti sociali a queste efferate ed abiette asserzioni.
Infine, ma non meno importante, la famiglia produce mentalità e storture culturali e di sistema che prendono poi forma in orridi provvedimenti normativi come la legge 40 sulla PMA che noi A/matrix osteggiamo fin dalla sua genesi e che non smetteremo di bersagliare finché non sarà espulsa dal nostro ordinamento.
Questo non può non farci interrogare sul senso che potrebbe avere una riedizione dell’istituto matrimonialfamiliare – anche se sotto le mentite spoglie dei DI.CO. – che se da un lato è sicuramente utile alle persone LGT per ottenere quei riconoscimenti e quelle tutele giuridiche oggi a loro precluse (accesso ai diritti fondamentali che vanno dall’assistenza e alla cura sanitaria o carceraria fino a quelli patrimoniali puri di successione, specie mortis causa), dall’altro ci pongono seri e preoccupanti interrogativi in prospettiva.
E questo è il punto! Siamo sicure che soltanto una riedizione dell’istituto matrimonialfamiliare sia la soluzione ai problemi di convivenza more uxorio delle persone GLT ? Soltanto con i DI.CO. si potrebbe porre rimedio a quelle odiose situazioni di mancanza di tutela giuridica per le cosiddette coppie di fatto eterosessuali?
Noi avremmo pensato di ripescare e ri-proporre i filoni antenati e maestri della lotta femminista, come l’autogestione e l’autodeterminazione nelle e delle nostre vite, e su queste basi proponiamo di abbandonare la rivendicazione di nuovi istituti asfissianti per le singole soggettività anche se apparentemente forieri di nuovi diritti. Individuare nell’istituto familiare la fonte primigenia della mancanza di diritti e di tutele per diverse soggettività, e quindi colpire al cuore il sistema che osteggiamo mirando agli istituti che ne costituiscono il cardine, rappresenta la nostra battaglia che speriamo di potere fare anche assieme al movimento LGT, al fianco del quale non smetteremo comunque di essere.
Valorizzare la volontà della singola persona fino ad addivenire al pieno e totale riconoscimento dell’autodeterminazione e dell’autogestione, rivendicazione che ha avuto ed ha ancora un ruolo fondamentale nella nostra lotta di genere, a noi pare maggiormente retributivo. La richiesta del riconoscimento giuridico di dichiarazioni di volontà che da un lato garantiscono i diritti e dall’altro ci evitano istituti che stanno già diventando desueti per pericolosità appurata è l’obiettivo positivo cui miriamo.
Tra noi A/matrix abbiamo aperto anche un dibattito più generale sul rapporto tra la norma giuridica e le nostre vite materiali, occasionato dalle forti pressioni sulle varie regolamentazioni della prostituzione; in tema siamo concordi nel ritenere che l’istituzionalizzazione delle varie situazioni delle nostre vite non è altro che una forma surrettizia di controllo e di direzionamento delle e nelle nostre vite.
Chiediamo coralmente anche noi una ripresa del dibattito generale nel movimento delle donne che si allarghi anche alle altre soggettività sociali e politiche nella mira del raggiungimento dei comuni obiettivi.

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