“L’AGGETTIVO DONNA” Per un cinema clitorideo vaginale

UN FILM DAL TITOLO "L’AGGETTIVO DONNA" è stato concepito, gestito, partorito interamente da donne del Collettivo. Questo è il documento steso in occasione della presentazione del film.
 
PER UN CINEMA CLITORIDEO VAGINALE.
Manifesto:
Il cinema in quanto creazione artistica, rimane un fatto estetico, culturale, separato dalla realtà quotidiana. La sua spettacolarità si inserisce nel generale spettacolo vissuto in una società che ci spinge ad assumere costantemente dei ruoli, cioè ad apparire piuttosto che essere. La creatività diventa rivoluzionaria quando non rimane limitata all’operazione "artistica", ma diventa creazione della vita stessa. I mezzi di comunicazione audiovisivi, per la loro larga diffusione, sono il più potente strumento usato dal potere allo scopo di influenzare il comportamento, i desideri, le scelte, il modo di pensare degli individui secondo canoni stabiliti dalle società in cui regnano le condizioni moderne di produzione e il fallocratismo, per la loro conservazione.

Annabella Miscuglio

 La gamma di stereotipi femminili proposti è sempre stata funzionale alle esigenze economiche e sociali di ogni particolare momento storico. Questo diventa ancora più evidente nella nostra epoca in cui i massmedia ci rappresentano in una unidimensionalità e parcellizzazione aberranti. Si dà per scontato che la donna sia quello che l’uomo proietta su di lei: il suo inconscio che cerca di dominare e negare trasferendo sulla femminilità i concetti di natura, amore, male da cui nasce l’immagine della virago; il desiderio di dominio e di possesso, che crea l’immagine della donna passiva, sottomessa, impotente, da proteggere: la repressione sessuale che subisce, nella famiglia patriarcale, nel lavoro, attraverso la pornografia alimentata dal sistema, che lo porta a mitizzare la verginità, la purezza, la fedeltà: miti che rendono la donna frigida, quando non portano al suicidio o all’omicidio; la sua falsa concezione dell’erotismo, soppresso in favore di una sessualità genitale, che gli fa vedere la donna come puro oggetto di piacere; il suo estetismo instabile per cui la donna dovrebbe corrispondere a canoni di bellezza variabili, la cui costante è la celebrazione del rapporto sado-masochistico: le sue spinte liberatorie che creano la donna "emancipata". La famiglia, pilastro di questa società è il crogiuolo in cui viviamo il nostro sfruttamento specifico, con la prestazione di lavoro gratuito per la riproduzione della forza lavoro. Se le donne si sono adeguate a questi ruoli, evitando di cercare sé stesse, tranne notevoli eccezioni; se si sono fatte addirittura portatrici dei valori imposti nell’educazione dell’infanzia e nell’accettazione di un moralismo codificato; se sono state spesso compiacenti nei confronti del potere maschile, accettando il sacrificio; se sono sfuggite ad una realtà a loro estranea attraverso la passività e l’auto-annullamento; se sono cadute nella dinamica dei giochi ricattatori per assicurarsi un minimo potere affettivo; se si sono espresse con l’isteria, è perchè è l’unico modo di sopravvivere. Da quando le necessità economiche con lo sviluppo del capitale, ci hanno gettato sul mercato del lavoro pagato "consentendoci" di uscire dalla famiglia per servire a tempo pieno lo Stato abbiamo cominciato a partecipare alle lotte politiche. Ma nell’opporci al sistema, abbiamo capito che la nostra lotta va molto più in là dei nostri "compagni". Ci siamo rese conto che non si può combattere contro il modo di produzione capitalistico senza mettere in discussione anche la vita ”privata", perchè significherebbe ignorare che la nostra stessa struttura caratteriale è forgiata sulle esigenze dell’econoinia. Bisogna cominciare da ora a modificare i rapporti umani, perciò i nostri rapporti con l’uomo, con i bambini e con le altre donne. Se l’uomo ci ha posto in competizione tra noi non possiamo continuare a fare il suo gioco. E’ lo stesso gioco che fa il capitalista tra i lavoratori, costringendoli a lavorare a un salario più basso per sopravvivere. Per noi non si tratta più di sopravvivere, ma di vivere, di gestire il nostro modo di essere, il nostro corpo, i nostri pensieri; di realizzare i nostri desideri, e non non quelli della società patriarcale; di proporci in modo autentico. Rifiutando di conformarci alle aspettative sociali e alle definizioni imposte, noi donne troviamo oggi la nostra identità, in mezzo a mille difficoltà e ostacoli. Useremo tutti i mezzi perché la nostra lotta non rimanga isolata tra le pareti domestiche, in cui da sempre ci hanno segregate, o in uno sterile dibattito nei gruppi di donne che si vanno formando. E’ IN QUESTO SENSO CHE CI INTERESSANO I MEZZI AUDIOVISIVI: per parlare con altre donne, per esprimere un nuovo modo di essere donna senza per questo volere imporre nuovi modelli. Sino ad ora la donna è stata espressa dall’uomo o si è espressa tramite l’uomo che capitalizza la sua creatività, le sue idee, il suo lavoro, le sue energie vitali. Vogliamo parlare in prima persona delle nostre esperienze, della nostra alienazione, dei nostri disagi, in una socielà aggressiva e alienata basata sullo sfruttamento e sulla divisione del lavoro e dei compiti secondo il sesso. Questa nostra scelta è solo un mezzo. Non significa che ci facciamo illusioni su quello che è l’industria cinematografica e su quello che rappresenta il cinema all’interno della nostra società. E’ più che evidente la tattica usata dai mezzi di comunicazione per recuperare come oggetto di consumo ogni contestazione dei valori borghesi. I prodotti più sovversivi sono assorbiti dal mercato tramite l’incasellamento negli ampi margini della "cultura alternativa". Sfuggire alla mercificazione è impossibile se non si modificano i rapporti di produzione e di scambio. Ma pensiamo che la mercificazione di contenuti non può impedire l’estensione della presa di coscienza e della lotta, purché non ne siano deformati i significati. Nei paesi a capitalisino avanzato, in cui il femminismo è ormai diffuso, si è già verificata una grossa speculazione commerciale sull’argomento. Questo spinge alcuni "autori" a utilizzare il messaggio di un femminismo astratto, perchè non vissuto e percepito solo intellettualmente, e a continuare a rappresentarci in termini che non ci appartengono, riducendo il nostro a un problema socio-psicologico. Ma se questo contribuisce a creare ulteriori equivoci intorno alla nostra dimensione, e sulla teoria e la pratica del femminismo, non impedisce alle donne di portare avanti le loro autentiche istanze rivoluzionarie. Il cinema, per la sua stessa forma di spettacolo, si pone in modo autoritario nella misura in cui non consente un dialogo diretto (invece di parlare "con", parla "a") e non permette di uscire dal solito rapporto spettacolo spettatore passivo. Far seguire le proiezioni da dibattiti e discussioni serve certamente a uno scambio di idee e a chiarificazioni, ma muovendosi nell’ambito di un cinema che si vuol porre come stimolo, bisogna anche che la spettatrice si ponga in un’altra ottica. Per questo non ci rivolgiamo a chi va al cinema per passare il tempo o per distrarsi, né a chi cerca i sui orgasmi culturali. IL NOSTRO E’ UN APPELLO ALLA RIFLESSIONE E ALLA CRITICA CHE DIVENTANO AZIONE. Se questo non si verifica, consideriamo il nostro lavoro fallito nei suoi scopi, in quanto si integra nello schema della passività generata dal sistema capitalista. Il cinema ha evidentemente un linguaggio codificato: che è l’espressione dello spirito maschile, induttivo, oggettivo, logico, capace di dominare le emozioni. Pur non proponendoci una specifica ricerca linguistica, non escludiamo che dal nostro spirito deduttivo, soggettivo, intuitivo, dialogico, emozionale, possa nascere un linguaggio diverso. Questo soprattutto se riusciremo a fare tabula rasa della cultura introiettata e subita. Usiamo il cinema per vivere la nostra creatività, la nostra fantasia, la nostra immaginazione. Perchè questo ci diverte. Vogliamo spiegarci, non giustificarci. Spiegandoci, ci ricerchiamo e ricercandoci ci capiamo e troviamo la strada per liberarci. LA NOSTRA UNIONE E’ DI AMORE E DI LOTTA. Il nostro è nato come un gruppo di presa di coscienza all’interno del Movimento Femminista con lo scopo di capire, attraverso la discussione aperta di esperienze e problemi personali, come fino a qual punto siamo state condizionate dall’educazione, per cercare i mezzi per decondizionarci e portare i nostri discorsi e la nostra lotta all’esterno. Abbiamo dato moltissima importanza al tipo di rapporti che si creavano tra di noi, nell’intento di eliminare l’autoritarismo, il leaderismo, la competitività, i meccanismi di difesa, i giudizi. La formazione del gruppo non è stata casuale, ma determinata dagli interessi che ci accomunano, ad esempio alcune di noi lavorano nel cinema, è la disponibilità che aveva ognuna di noi nei confronti dell’altra, che ci ha consentito una comunicazione immediata. A lungo andare ci siamo accorte che il discorso si chiudeva in un circolo vizioso e abbiamo sentito l’esigenza di lavorare insieme. I nostri programmi, in parte avviati includono: rassegna, critiche di film diretti da donne o sulla donna allo scopo di stimolare un’analisi del ruolo della donna davanti e dietro la macchina da presa. Presentazione di film femministi in scuole, fabbriche, quartieri, cineclub per prendere contatti con altre donne; realizzazione di film a soggetto, documentari, inchieste sulle donne e i bambini per riscoprire la loro realtà ignorata e distorta e portarla alla coscienza della collettività. Donne e bambini non saranno l’oggetto del nostro lavoro, ma i soggetti attivi di una ricerca comune.
 
Nota: il Collettivo Femminista Cinema ha in seguito realizzato un altro documentario dal titolo "La Lotta non è finita".
 
 
Collettivo Femminista Cinema-Roma 1973
 
 

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