Lotta femminista -La mancanza di soldi ci chiude in gabbia (Settembre 1973)

Non ci sarà mai parità salariale per le donne fino a che il lavoro domestico non verrà socializzato o, nel frattempo, non ci sarà pagato.

 

Siamo sui marciapiedi a lavorare ‘all’aperto’

Avere soldi per il lavoro domestico, significherebbe per tutte noi donne che oggi siamo anche e prima di tutto delle casalinghe come tutte le altre, avere un’alternativa, un punto di forza per rifiutare questo lavoro o per decidere a quali condizioni siamo disposte ad accettare anche "il lavoro della strada". Se far andare la macchina da maglieria otto e più ore al giorno distrugge le casalinghe lavoranti a domicilio, passeggiare col freddo e col caldo, rischiare di pendersi malattie gravi, rischiare di essere derubate o addirittura ammazzate da qualche cliente sadico, non poter avere figli a nessun costo perché i nove mesi di gravidanza sarebbero la fame, pagare la protezione in termini altissimi, sia in soldi, sia in botte,

 sia col terrore, rischiare ogni sera la galera, essere produttiva al massimo per questa società che poi si permette anche di disprezzarci, di condannarci, di emarginarci, accettando ogni disgustoso cliente che arriva per cinquecento o mille o cinquemila lire, NON DISTRUGGE DI MENO LE CASALINGHE LAVORANTI PER LA STRADA. Nessuna sarebbe più disposta a vendersi a tal prezzo se ha già un livello di denaro da cui partire, da cui avere un punto di forza. La maggior parte di noi donne che oggi è costretta a prostituirsi, come unica via di scampo ad una situazione di casalinga non pagata, è costretta a prostituirsi in queste condizioni. Noi sole sappiamo che prezzi altissimi siamo costrette a pagare in migliaia e migliaia, ricattate a livello di fame, di impossibilità di vivere, per non avere noi tutte insieme ancora scatenato una lotta organizzata sul salario: è l’unico modo reale che ci accomuna tutte, che costruisce fra di noi una sorellanza vera, che riesce ad unire la madre di famiglia tanto sfruttata, ma anche esaltata, all’altra sua faccia degradata che è la cosiddetta "prostituta", altrettanto e forse più sfruttata ed emarginata. E’ lo Stato che obbliga noi donne alla prostituzione. La costrizione a questo tipo di lavoro non riguarda solo più le migliaia di donne che per non morire di fame al loro paese al sud emigrano nelle metropoli del nord e qui si ritrovano nelle stesse condizioni, addirittura peggiorate dal caro vita, dalla situazione estranea, dal ritmo insopportabile di sfruttamento, e strappate anche da quell’ambiente in genere contadino, che bene o male forniva loro quei prodotti primari, necessari per la pura sopravvivenza; non solo le ragazze minorenni e non, che per conquistare la loro autonomia e sfuggire ai continui ricatti della famiglia, fuggono di casa e si ritrovano sulla strada; non solo le ragazze madri a cui viene negato qualsiasi tipo di sopravvivenza e di servizi sociali che non siano lager, per cui si ritrovano o all’ospedale psichiatrico o sulla strada.Oggi la situazione è troppo pesante anche per tutte quelle donne, più dell’80%, che devono vivere sul salario del marito quasi sempre insufficiente, e per quelle che oltre il loro lavoro di casalinghe, hanno anche un lavoro esterno, magari part-time, che come sappiamo è sempre mal retribuito e insicuro. Accettare quest’ultima via di scampo è percorrere un calvario senza fine. Eppure noi abbiamo sempre dovuto percorrere questo calvario da secoli. Non per niente la prostituzione è il mestiere più antico del mondo. Ed è anche la misura di quanto siamo sempre state degradate, sfruttate, umiliate; di quanto la classe maschile ha costruito il suo potere all’interno della classe sulla nostra pelle; del fatto che non abbiamo mai avuto nessun potere. Aprire la lotta sul salario per il potere delle donne, significa conquistare la possibilità per tutte noi di non dover più percorrere questo calvario.


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