Mutande parlanti unite nella lotta (11/02/06)

Il 14 gennaio è una data da segnare nel nostro diario: dopo la sconfitta referendaria di
giugno le donne hanno finalmente sentito un desiderio irrefrenabile di scendere in piazza.
I temi toccati dall’agenda istituzionale e la scottante attualità delle pratiche
tecnopolitiche che si esercitano quotidianamente sui corpi delle donne hanno spinto donne
e uomini consapevoli a riconquistare una visibilità pubblica che negli ultimi anni era
stata intermittente.

 

 

 Ora c’è da pensare al futuro, al dopodomani che comincia adesso e ci appartiene:
vogliamo segnare sul nostro diario anche l’11 febbraio della Breccia di Roma e
dell’interruzione volontaria del Silenzio di Napoli, per rilanciare e alzare la posta in
gioco.
Non è cosa da poco, visto il soffocante clima politico che ci tocca respirare.
Ci aspettiamo da chi vorrebbe rappresentarci che dichiari di abbandonare ogni pretesa
prescrittiva sui corpi delle donne e si assuma la responsabilità e si prenda l’impegno
di non indurre e non cadere nella tentazione di leggi etiche. In ogni caso qualunque
governo ci aspetti non (ri)entreremo nel silenzio di nessuna casa, nemmeno di quelle che
sembrano più accoglienti e rassicuranti.
La maggior parte delle donne e degli uomini politici ammicca e compiace le gerarchie
ecclesiastiche e non pare così turbata dalla continua prassi di scambi politici sui
corpi delle donne.
L’autodeterminazione, intesa come spazio di auto-nomia dei corpi e delle diverse
sessualità, e il riconoscimento della libertà, per tutti gli infiniti generi, di
disertare l’istituzione matrimoniale sperimentando modelli alternativi di relazione, sono
due questioni sulle quali per definizione non si può affatto delegare.
E’ questa la ragione sociale del movimento delle donne e del movimento glbt(q)(z).
Dire basta, una volta per tutte, all’imposizione di morali univoche nelle scelte
individuali, ai tentativi di sottrarre alle donne (e agli uomini) il potere sul proprio
corpo, di disciplinarci attraverso una norma sessuale, riproduttiva e produttiva.
La società dello spettacolo e della precarietà cerca di addomesticare le donne che non
intendono ricoprire i ruoli scelti da altri, stringendole nell’abbraccio mortale tra
l’immagine della donna-perfetta madre-moglie-manager e la coreografica donna-velina, che
se parlasse diventerebbe pericolosa anche lei. Ma dal silenzio si esce davvero provando
ad allargare l’orizzonte della comunicazione ed è possibile farlo giocando con le
parole, inventando un nuovo vocabolario, senza abusare di termini o slogan che hanno
avuto fortuna in passato ma che ora hanno bisogno di essere rimodulati.
Siamo alla ricerca di una politica radicale della parodia capace di mettere in scacco
l’opposizione violenza/nonviolenza.
A chi vuole impropriamente strumentalizzare il corpo delle donne, i suoi molteplici
significati e piani di espressione, banalizzando le scelte che stanno dietro all’aborto o
alla fecondazione assistita, rappresentandoli come melodrammi in cui il protagonista di
tutte le inquadrature è un feto che galleggia nel vuoto, noi vogliamo rispondere con
l’uso in proprio del desiderio, dell’immaginario e della materialità del corpo.
Da qui nasce l’idea della campagna uso improprio, improprio rispetto a tutte le norme e
al tentativo di rappresentare una molteplicità irrapresentabile.
Il 14 gennaio abbiamo scelto un triangolo di stoffa per sottolineare l’ambigua
centralità di un oscuro oggetto del desiderio sul quale confliggono l’ansia della norma
e la volontà di libera auto-gestione. Mutande parlanti, mutande che parlano per noi: se
i nostri corpi vengono isolati dalle nostre soggettività e fatti a pezzi facciamo un uso
improprio di questa frammentazione per agire la nostra interezza. Se proprio dovete
rappresentare la parte per il tutto – il feto per la madre, i genitali per il sesso, il
sesso per l’amore – almeno lasciateci libere di nominarla e viverla ognuna in proprio.
Un desiderio che crediamo sia condiviso anche da chi non partecipa alla piazza per noia,
distrazione, incoscienza o disperazione. Per questo invitiamo tutte e tutti ad indossare
mutande parlanti come segno di riconoscimento, per farne un lascia passare che si
intrufola ovunque, provando a superare la pesantezza e i limiti dei linguaggi e delle
pratiche politiche tradizionali. Per questo continueremo ad indossarle e a disseminarle
l’11 febbraio a Roma e a Napoli.

A/matrix
amatrix@inventati.org

[11 febbraio 2006] 

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